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STRADE DELLA ROMA PAPALE

Piazza e via di S. Pantaleo (R. VI – Parione) (limitata a sud da Corso Vittorio Emanuele II, riceve via della Cuccagna e via di San Pantaleo, che va fino a piazza Pasquino)

Dalla chiesa [1] chiamata  nel  tempo  “de  Preta  Caroli”; “ de  Muti”;  “de Parione[2].

Certo esisteva nel XIII sec. [3] e fu restaurata nel 1418 da Alessandro Savelli, il cui palazzo, che era in un vicolo omonimo vicino, è stato abbattuto nel XIX secolo per l’allargamento della via Papale (ed il vicolo diviso in due).
Fu restaurata ancora nel 1621 dai padri delle Scuole Pie (approvate nel 1614 e dirette, fino alla sua morte, da S. Giuseppe Colasanzio, che fu sepolto in questa chiesa).
La facciata attuale è stata restaurata nel 1806 dal duca Giovanni Torlonia su disegno del Valadier.

In sacrestia v’è un pozzo, ora chiuso, del quale si distribuivano acque ai fedeli, nel giorno di S. Pantaleo.
Nella Chiesa è sepolta la figlia [4] di Giovanni Brancaleone [5] Romano, che fu tra i partecipanti alla sfida di Barletta [6]. Infatti così dice la lapide:

D.O.M.
Laudomiae Joannis
Brachalonii Qui Inter
Tredicim Italos Cum
Totidem Gallis Certavit
Et Vicit………

 Il Palazzo Braschi, fu posseduto dalla fine del XV secolo dagli Orsini, che l’avevano acquistato da Cencio Mosca (antica famiglia romana).
Vi dimorò il cardinale Oliviero Carafa (1501), poi il cardinale Antonio Maria Ciocchi del Monte (1514).
Nel 1533, vi ritornarono gli Orsini e ne divenne proprietaria la duchessa di Trémoille, vedova di Flavio Orsini (1620-1698), cui subentrò Cornelia Costanza Barberini Colonna, poi i Caracciolo di Santo Buono (I Caracciolo lo avevano acquistato dagli Orsini che lo avevano ripreso nel ‘500) e dai quali lo acquistò Pio VI (Giovanni Angelo Braschi - 1775-1799) nel 1790 per 42.000 scudi.  Il palazzo fu abbattuto è ricostruito dai Braschi, su disegni di Cosimo Morelli da Imola (1729-1812), con una spesa di 1.500.000 scudi. .

Il pontefice Pio VI (Giovanni Angelo Braschi - 1775-1799), che era stato eletto dopo un conclave, durato dal 5 ottobre 1774 al 15 febbraio 1775, con l’intesa della soppressione dei gesuiti [già effettuata da Clemente XIV (Gian Vincenzo Antonio Ganganelli - 1769-1774) con breve del 21 luglio 1773], intese, con tale costruzione, creare una regia al nipote Luigi conte Onesti, figlio di sua sorella, al quale fece assumere il cognome di Braschi, perché ne assicurasse la discendenza. 

Con 94.000 scudi acquistò per loro dai Frangipane il feudo di Nemi, che aveva annesso il titolo ducale, e gli procurò, dall’imperatore Giuseppe II (1765-1790), la corona principesca del Sacro Romano Impero; dal re di Spagna Carlo III, il titolo di Grande di Spagna; da Luigi XVI di Francia, l’ordine dello Spirito Santo con brillanti; e dal re di Sardegna, Vittorio Amedeo III, la gran croce dei SS. Maurizio e Lazzaro con 2.000 scudi d’appannaggio.

Il matrimonio , di Luigi Onesti-Braschi con Costanza Falconieri (Nigra sum sed formosa) della famiglia di quei banchieri toscani che avevano ingrandito la loro fortuna con l’appalto del sale, fu celebrato dallo stesso Pontefice nella Cappella Sistina.

Costanza che, dicesi, ebbe carissimo il suo segretario Vincenzo Monti (1754-1828), fu per la parte mondana regina incontrastata dell’Urbe, e qui nel suo palazzo svolse attiva la sua azione.
Ambasciate e personaggi reali furono sontuosamente festeggiati esercitando essa quella parte del compito diplomatico che più facile si effettua  da una bella donna.

Una certa influenza esercitò pure sul Pontefice.
Si narra a questo proposito,  che Giorgio (fra Barnaba) Chiaromonti, suo confessore, avesse dovuto a lei il cappello cardinalizio. Trovandosi il Chiaramonti in casa Braschi, ed alla presenza di Pio VI che stava vezzeggiando il piccolo pronipote, accadde che il piccolino, tolto il zucchetto dalla testa del Pontefice, lo ponesse sulla testa del frate. La principessa che era presente, interpretò a suo modo l’avvenimento e tanto insistette, che Pio VI finì col coprire del berretto rosso fra Barnaba,  che  nel  1800  gli  successe  sulla  cattedra  di S. Pietro  [Pio VII (Barnaba Niccolò Chiaramonti - 1800-1823)].

Come si sfogasse Pasquino, che, fin dall’elezione di papa Braschi, aveva detto:  

“il Sesto all’infelice Roma fu sempre infesto
Ora il colpo di grazia glielo darà Pio VI”

è facile intuire.

Quando il Papa con le sue elargizioni arricchì il nipote, il “Torso di Parione” ebbe a dire:  

“Son lauti e rigogliosi di Santa Chiesa i paschi
E ci si può ingrassare anche la casa Braschi
”.

Né risparmiò la nobiltà del Braschi, lo stemma, del quale così gl’imponeva di scomporre:

“Rendi all’impero L’Aquila
dei Franchi il giglio ai Re
Al Celo rendi le stelle
il resto Braschi a te
”.

 Ma cessò le centinaia di critiche ed attacchi quando, occupata dagli Francesi, nel febbraio del 1798, Roma si proclamò Repubblica ed il Papa se ne partì, il 20, per Siena, prima tappa verso l’esilio di Valenza dove morì il 29 agosto dell’anno seguente.

Pasquino l’appoggiò con la sua satira e alla morte di lui poté ripetere:  

"Pius VI in sede magnus,
ex sede major, in coelo maximus
”.

Il palazzo che portava il suo nome ne seguì la sorte.

Il duca Luigi, nella disgrazia dello zio, volle ancora una volta dimostrare che la gratitudine è un vizio dei cani.
Si recò (1808) servilmente a Parigi a riverire, in nome anche dell’Urbe, l’Imperatore dei Francesi. Aveva, infatti, accettato da Napoleone, primo ed unico, la carica di “maire” di Roma: dal Diario Fortunati: il 1° gennaio 1813: “per ordine del mer (maire) Braschi, sortì la legge che chiunque persona che aveva sopra da anni 15 d’età, dovesse prendere la Carta di Sicurezza”, e di fatti il suddetto giorno fu principiata a dare la suddetta Carta.

Cessati gli aiuti dello zio, per l’incapacità di amministrare il cospicuo patrimonio, la ricchezza del duca scomparve in pochi anni ed il palazzo finì in mano di creditori “sfiancati un po' tutti dalle liti”

Non trovando chi volesse acquistare il grande edificio si decisero di farne il premio di una lotteria internazionale, le di cui cartelle furono messe in circolazione al prezzo di uno scudo. Parecchi ne furono gli acquirenti, ma il regnante Pontefice Pio IX (Giovanni Maria Mastai Ferretti - 1846-1878), non approvando l’operazione, ne ordinò l’annullamento, facendo rimborsare le quote sborsate agli aderenti. Il fabbricato fu affittato, poi, a diversi personaggi: fu nel 1853 sede della Legazione di Sardegna e, nel 1860, diventò la sede della Filodrammatica Romana.

Alla venuta a Roma del Governo Italiano nel 1870, il palazzo diventò la sede del Ministero dell’Interno (Fu pagato 1.550.000 lire dal Governo Italiano.) e del Presidente del Consiglio dei Ministri, finché nel 1920 l’uno e l’altro si trasferirono nel nuovo palazzo del Viminale. Durante il fascismo vi fu collocata la Federazione dell’Urbe (1930) e dopo la sua caduta, nel 1945, vi affluirono i profughi e le vittime dei bombardamenti.

Nel 1952, riparati per quanto possibile i danni, vi è stato inaugurato il Museo di Roma.
Dallo scalone, forse il più bello di Roma, sono scomparse le antiche statue ed una parte dei fregi araldici, restano le 18 colonne di granito rosso orientale a sostenere le magnifiche rampe dei due piani ed altre quattro servirono per incorniciare le porte che immettono negli appartamenti.
Infatti, le colonne,  con le quali Innocenzo  III  (Lotario dei Conti di Segni - 1198-1216) aveva ornato l’edificio [7] che  aveva innalzato  a Borgo Santo Spirito per l’ospedale omonimo, erano state 22. Pio VI le aveva da lì prelevate per il proprio palazzo...

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[1]              A sinistra di chi guardava la facciata della chiesa, v’era una torre che, nell’eredità di Domenico Massimo, toccò al figlio Angelo. Fu abbattuta nel 1548.

[2] )            Di una chiesa “Sancto Petro appresso ad Sancto Pantaleo” della quale è parola in un verbale del 2 febbraio 1499 dei maestri delle strade, non ne parla né l’Armellini, né l’Huelsen, né il Tani.

[3] )            Sotto la Chiesa nel 1747 furono visti  “gran pezzi di travertino con ornato di scorniciamento... che voltavano con porzione di cerchio” (i “carceres”?). La Chiesa primitiva era stata costruita nel 1216 da Onorio III, in onore di S. Pantaleo, affidandola a sacerdoti inglesi. San Pantaleo fu medico dell’imperatore Massimiliano che lo fece uccidere perché cristiano, nel 305.

[4] )            Morta il 5 ottobre 1577.

[5] )            Assunsero il nome dei Castellani, estinti nel 1616 (Lorenzo Castellani, morto nel 1606, la cui figlia Lucrezia estinse la famiglia nei Brancaleoni, conservando il cognome Castellani).
La Famiglia Castellani, venuta a Roma con Ludovico il Bravo (1328), ebbe Castellano Castellani, Conservatore nel 1383. I Castellani abitavano tra la via della Longarina e il Ponte Rotto.

[6] )            13 febbraio 1503.

[7]               Le colonne erano certamente provenienti da quel portico che Caligola aveva posto tra la terrazza, che occupava l’ampia area dell’attuale ospedale, ed il suo circo, al riparo delle intemperie invernali e dal sole estivo.

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Lapidi, Edicole e Chiese :

- Piazza di San Pantaleo
- Chiesa di San Pantaleo - Interno
- Chiesa di San Pantaleo - Lapidi
- Palazzo Braschi
- Via di San Pantaleo

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